Bosco e Regga: personaggi dall’ignoto in un cold case dell’ufologia
Approfondimento di Federico Carbone
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INTRODUZIONE
Gli anni Cinquanta furono un’epoca di grandi contraddizioni: da un lato l’entusiasmo per le nuove frontiere della scienza e della tecnologia, dall’altro un grande fermento per tutto ciò che era “ignoto”. Nel giro di pochi anni, si moltiplicarono racconti di “dischi volanti” e voci di presunti contatti extraterrestri, alimentando l’interesse di ufologi, scienziati “eretici” e semplici appassionati.
È in questo scenario che va collocata l’intricata vicenda di Karl Hunrath e Wilbur Wilkinson, due ricercatori UFO statunitensi scomparsi misteriosamente nel 1953, e il parallelo racconto di Franco Brancatelli, cronista siciliano impegnato in sedute medianiche che puntavano addirittura a comunicare con entità extraterrestri. Il filo invisibile che lega questi due mondi, lontani nello spazio ma curiosamente affini, ha un nome preciso: “Regga”, un’entità che si proclamava abitante di Marte.
Quello che segue è un reportage esteso, nato dall’incrocio di diverse fonti e ricostruzioni, che getta luce su un capitolo poco noto, ma estremamente suggestivo, dell’ufologia e del paranormale di metà Novecento.
Due personaggi agli antipodi ma uniti dall’ufologia
Karl Hunrath e Wilbur Wilkinson avevano personalità molto diverse. Il primo, scapolo e piuttosto misantropo, detestava le donne con una virulenza che alcuni amici descrivevano come “inquietante”. Il secondo, sposato e padre di famiglia, manifestava invece un temperamento mite e riservato. Eppure, entrambi erano accomunati da un fervido interesse per il fenomeno dei “dischi volanti”.
Negli Stati Uniti dei primi anni Cinquanta, l’ufologia era in rapida ascesa. Avvistamenti di luci misteriose, contatti telepatici con esseri dello spazio e paure legate alla Guerra Fredda riempivano i giornali. Hunrath, insofferente della routine, lasciò un lavoro in una fabbrica di elettrodomestici per trasferirsi nella più stimolante California; Wilkinson, un po’ più esitante, lo seguì a ruota. Fu lì, a Los Angeles, che i due si immersero nel variegato ambiente dei contattisti e degli ufologi, incontrando anche personalità come George Adamski, George Van Tassel e George Hunt Williamson.
Un intruso nella notte
Prima di lasciare il Wisconsin, Karl Hunrath vive un’esperienza che definirà “traumatica” e che lui stesso racconterà, in modo frammentario, ad alcuni conoscenti: in piena notte, nel gennaio 1952, dice di essersi svegliato bruscamente, impossibilitato a muoversi, con la sensazione di essere stato iniettato di una sostanza sconosciuta. A incombere su di lui, “un uomo alto, magro, vestito di scuro”, che si sarebbe presentato con il nome di “Bosco”.
Chi o cosa fosse Bosco è ancora oggetto di interpretazioni. Alcuni sostengono che Hunrath lo descrivesse come un essere extraterrestre dalle sembianze umane; altri lo paragonano a una spia o a un emissario di qualche potenza straniera. Di certo, la testimonianza di Hunrath - se reale o frutto di un’allucinazione - è inquietante: Bosco avrebbe parlato con un accento “quasi europeo” e gli avrebbe confidato informazioni segrete su un’avanzatissima tecnologia capace di abbattere velivoli militari a velocità elevatissime.
La “missione” di BOSCO
Secondo il racconto di Hunrath, Bosco lo avrebbe messo in guardia dai rischi di una guerra atomica imminente e gli avrebbe trasmesso conoscenze su come distruggere, se necessario, gli aerei di qualsiasi nazione. L’intento, a detta di Bosco, sarebbe stato impedire un olocausto nucleare, ma con ogni mezzo. Questa rivelazione, delirante o autentica che fosse, folgorò Karl Hunrath, spingendolo a dire addio al vecchio lavoro e a trasferirsi in California per approfondire i misteri legati agli UFO.
Hunrath, ossessionato dall’incontro notturno, battezzò la tecnologia (o l’arma) descrittagli dall’intruso con il nome BOSCO, scritto talvolta in caratteri maiuscoli. Arrivato a Los Angeles, ricominciò a raccontare a diversi ufologi di aver in mano uno “straordinario segreto”, ma il suo atteggiamento aggressivo e le fanfaronate su un presunto potere di abbattere aerei americani allarmarono sia i ricercatori locali sia l’FBI, che già iniziava a sospettarlo di possibili simpatie filorusse (o addirittura di essere una pedina di agenti stranieri).
L’ultimo volo
Se la passione per i dischi volanti aveva spinto i due ricercatori a cercare indizi e prove tangibili, fu proprio un volo - teoricamente di breve durata - a decretare la loro scomparsa. Il 10 novembre 1953, i due noleggiarono un aereo leggero presso un piccolo aerodromo di Gardena, nella contea di Los Angeles, dicendo di dover incontrare “amici” nel deserto. Decollarono con il carburante sufficiente per circa tre ore di volo. Nessuno li vide mai più.
Le forze dell’ordine e l’FBI, già interessata alle voci che riguardavano Hunrath (ritenuto potenzialmente pericoloso per le sue fantasie su “armi” in grado di abbattere aerei militari), avviarono ricerche a tappeto. Le squadre di soccorso perlustrarono deserti, costoni montuosi e anche zone marittime. Neppure un rottame venne ritrovato. Nessun segnale di emergenza. Nessun testimone o avvistamento dell’aereo scomparso.
1.3. La pista aliena (o politica?)
Il vuoto assoluto intorno a quel volo diede adito alle ipotesi più disparate. Per alcuni, i due avrebbero simulato un incidente per fuggire da debiti, problemi legali o addirittura per passare informazioni ai sovietici (ipotesi che serpeggiava tra i federali). Altri vagheggiarono che i due fossero stati rapiti dagli extraterrestri, desiderosi di portare con sé “umani selezionati” per studiarne il comportamento.
A incupire ancora di più lo scenario, emerse la scoperta di documenti e messaggi nella stanza di Wilkinson. Tante erano le note su simboli misteriosi, formule apparentemente “aliene” e specialmente riferimenti a un certo “Regga”, un’entità proclamata marziana. Il nome “Regga” ricorreva più volte, associato a frasi di ammonimento riguardo ai pericoli della guerra atomica e alla necessità di “crescere spiritualmente”. Quel medesimo nome si sarebbe affacciato, quasi incredibilmente, anche in un contesto tutto italiano.
Un cronista aperto all’ignoto
In quegli stessi anni, ma dall’altra parte dell’Atlantico, Franco Brancatelli, un giornalista siciliano, raccontava con passione i fatti di cronaca e al contempo coltivava un interesse profondo per il paranormale e l’archeologia definita “eretica”. Pur mantenendo un piglio analitico, si avvicinò a un gruppo che si definiva “cenacolo spiritualista”, non per contattare i defunti (come nello spiritismo canonico), ma per cercare di ricevere segnali da altre dimensioni e, perché no, da ipotetici extraterrestri.
In queste sedute medianiche, condite a volte da scherzi e goliardie, si passava dalla costruzione di strumenti bizzarri (telescopi “casalinghi”, sismografi, perfino “ufoscopi”) alle sessioni di scrittura automatica, in cui i partecipanti asserivano di farsi guidare da entità invisibili per vergare messaggi su carta.
L’entrata in scena di “Regga” nelle sedute
Proprio durante uno di questi incontri, lo stesso Brancatelli sostiene che il gruppo abbia iniziato a ricevere comunicazioni da varie fonti “extraterrestri”. Fra queste, spiccava un’entità che si presentava come “Regga”, dichiarando di provenire da Marte.
I messaggi, intrisi di richiami spirituali e morali, andavano dal monito “non distruggetevi” alla rivelazione di un universo popolato da razze più antiche e sagge, in grado di guidare gli umani su un percorso evolutivo. Brancatelli registrò tali comunicazioni con spirito da cronista: da un lato scettico verso possibili trucchi, dall’altro consapevole che qualcosa di inspiegabile potesse avvenire.
L’INCREDIBILE CONNESSIONE: REGGA DI MASAR
L’interesse di Brancatelli per l’archeologia “di confine” e per i contatti extraterrestri lo spinse a frequentare librerie specializzate. In una di queste, in via Etnea a Catania, acquistò “I dischi parlano”, un libro di George Hunt Williamson, antropologo e archeologo statunitense noto nell’ambiente ufologico per aver collaborato con George Adamski. Sfogliando il testo, con grande stupore, Brancatelli trovò riferimenti a una figura denominata “Regga di Masar (Marte)”, che rispecchiava in modo impressionante l’entità che si manifestava durante le sedute catanesi.
Il cronista decise di contattare Williamson per un confronto diretto, ma non sapeva come reperirne l’indirizzo. Ed ecco che, secondo quanto racconta Brancatelli, la soluzione arrivò proprio dal suo “cenacolo spiritualista”: durante una seduta di scrittura automatica, Regga avrebbe fornito l’indirizzo americano di Williamson. Incredulo ma intrigato, Brancatelli spedì una lettera.
Con sua enorme sorpresa, ottenne risposta nel giro di due giorni, benché la posta transoceanica dell’epoca fosse lenta, la lettera avrebbe dovuto impiegare almeno venti giorni, prima di giungere al suo destinatario. Lo stesso Williamson spiegava di essere a conoscenza grazie a Regga, che a breve sarebbe arrivata una loro missiva.
IL RAPPORTO EPISTOLARE E LA VISITA DEL 1958
Di lì in avanti nacque una corrispondenza fitta: Williamson e Brancatelli si scambiarono opinioni su archeologia antica, teorie ufologiche e i fenomeni medianici più controversi. Questa inedita collaborazione a distanza culminò, nel 1958, con una conferenza a Catania in cui Williamson venne invitato dallo stesso Brancatelli a illustrare le sue scoperte e i suoi contatti con i “Fratelli dello Spazio”.
Moltissime persone, tra curiosi e scettici, affluirono per ascoltare le storie di Williamson: dai racconti sulle civiltà aliene alle sue testimonianze riguardo a George Adamski, passando per i metodi di “canalizzazione” di entità come Regga di Masar. Brancatelli organizzò l’evento con professionalità ma senza rinunciare alla sua vena critica, precisando più volte che il rischio di frodi e illusioni in questi ambienti era elevato, pur lasciando aperta la porta alla possibilità di fenomeni genuinamente inspiegabili.
IL COLLEGAMENTO TRA DUE MONDI E LE DUE STORIE
A rendere il tutto ancora più interessante è un dettaglio decisivo: il “Regga” dei documenti di Wilkinson e il “Regga” dei messaggi del cenacolo di Brancatelli paiono essere lo stesso personaggio, un’entità che si definisce marziana e che trasmette avvertimenti e formule quasi identiche. Se Brancatelli non aveva alcun ruolo diretto nelle ricerche di Hunrath e Wilkinson, il fatto che lo stesso nome compaia in due contesti geograficamente e culturalmente lontani apre diverse ipotesi:
Ipotesi di “contagio ufologico-mediatico”: forse esisteva un circuito di divulgazione di questi nomi “alieni” tra riviste, libri e passaparola, e così “Regga” era divenuto un simbolo ricorrente nell’immaginario collettivo.
Ipotesi di un reale fenomeno medianico/extraterrestre: i più aperti alla dimensione soprannaturale sostengono che questo sia un segno concreto di un unico “contatto” gestito da un’entità che voleva farsi conoscere da più gruppi umani.
Coincidenza improbabile: per alcuni, la ripetizione di uno stesso nome potrebbe essere puramente casuale o dovuta a interpretazioni soggettive, benché la sincronicità risulti innegabilmente suggestiva.
UNA SCOMPARSA CHE RESTA UN COLD CASE
Le piste investigative
Malgrado l’FBI avesse aperto un fascicolo su Karl Hunrath e Wilbur Wilkinson, la sorte dei due ricercatori UFO rimane un enigma. Alle voci più “ortodosse” che parlano di un semplice schianto aereo o di una fuga concordata, si contrappongono le ipotesi più estreme, come il rapimento alieno. Il mistero è aggravato dal fatto che le ricerche furono condotte subito dopo la sparizione, con aerei civili e militari che perlustrarono ogni zona accessibile, senza traccia alcuna.
In aggiunta, alcune testimonianze raccolte da George Hunt Williamson (colui che poi era in contatto con Brancatelli) hanno riferito di “voci” secondo cui i due americani fossero riparati in Messico o addirittura visti a Londra, con i capelli tinti. Nessuna di queste segnalazioni è mai stata confermata. L’elemento più “paranormale”, tuttavia, resta quell’inquietante legame con i messaggi firmati Regga: era uno scherzo? O un’indicazione di un piano “superiore” che i due sostenevano di dover portare avanti?
Il ruolo di Brancatelli
Benché Franco Brancatelli non fosse minimamente implicato nelle indagini americane, il suo racconto sulle sedute medianiche in cui pure appariva un’entità marziana di nome “Regga” risulta un tassello fondamentale nell’economia di questa storia. Mette in luce un aspetto spesso ignorato: in quegli anni, tra i contattisti e i gruppi spiritualisti, era diffusa l’idea che le civiltà extraterrestri tentassero di “salvare” l’umanità dalla catastrofe atomica tramite messaggi telepatici o medianici.
Che la comparsa di “Regga” in ambienti così lontani fosse dovuta a semplice fascinazione culturale o a un autentico contatto interplanetario, fatto sta che questo nome, volutamente esotico, ha collegato due eventi (la sparizione di due uomini) a un singolare esperimento di comunicazione medianica sulle pendici dell’Etna.
SGUARDO CRITICO E CONCLUSIONI
La vicenda di Hunrath e Wilkinson risulta tuttora un “cold case” dell’ufologia: mancano prove decisive per confermare o smentire la possibilità che i due siano stati vittime di un incidente, di un complotto politico, di un colpo di testa o, in un’ipotesi più estrema, di un incontro ravvicinato di tipo radicale. Le carte dell’FBI rimangono frammentarie, e le ricerche sul campo non hanno mai portato a rinvenimenti concreti.
Parallelamente, l’esperienza di Franco Brancatelli e del suo cenacolo catanese rimane un intrigante spaccato dell’Italia anni Cinquanta, in cui la passione per il paranormale e l’archeologia misteriosa coesisteva con un approccio divulgativo. Brancatelli, pur riconoscendo l’alta probabilità di inganni o auto-suggestione, non escludeva la possibilità di casi autentici, capaci di sfidare le certezze scientifiche dell’epoca.
In definitiva, ciò che unisce queste due storie separate da un oceano è il nome di “Regga”, un’entità marziana che, ancora oggi, riecheggia come un misterioso trait d’union tra mondi apparentemente distanti. Che si tratti di un fenomeno culturale, di un inganno ben congegnato o di un reale contatto interplanetario, rimane uno dei grandi quesiti di un decennio in cui i confini tra scienza, spiritualità e fantascienza apparivano molto più sfumati di quanto si possa immaginare.
Eppure, il fascino di una scomparsa inspiegabile e di una medesima “voce” che affiora in contesti tanto diversi continua a esercitare la sua forza magnetica sui ricercatori del mistero, mantenendo vivo un capitolo singolare della storia dell’ufologia.
Federico Carbone